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Homo Scrivens

"Una giornata di Ivan Denisovič" (Aleksandr Solženicyn)

Recensione a cura di: Al Gallo




L’opera: Un uomo comune, tornato dal fronte, dove ha combattuto gli invasori nazisti, viene sospettato di spionaggio e spedito come milioni di altri in un gulag.

Qui, giorno dopo giorno, angheria dopo angheria, il governo stalinista cerca di fiaccare l’indole dei prigionieri, costretti a combattere contro tutto: il clima, le sofferenze, i compagni, la fame.

Quella raccontata è la cronaca di un giorno qualsiasi di questo inferno in terra, dal quale non si esce, a patto di sopravvivere, a riveder le stelle. Uno dei 3.653 giorni di una condanna standard di dieci anni: tre in più per via degli anni bisestili.

Il personaggio: Solženicyn ha sperimentato di persona il confino e la prigionia. Sceglie di raccontare la sua esperienza attraverso il vissuto di un prigioniero qualunque. Non un eroe, non un martire della libertà, ma un protagonista che accetta con filosofia la situazione, ben conscio che non ci sono alternative. L’unico sfregio che può fare ai suoi torturatori è sopravvivere. Per farlo è disposto a usare le armi che gli sono permesse: astuzia, intelligenza, prontezza di riflessi. L’unica cosa che conta è uscire vivo e tornare a casa.

Perché leggerlo: Affrontare la lettura di questo libro significa respirare il gelo della Siberia. Sentire dentro, nei polmoni, l’atmosfera da brividi di questo luogo di sofferenza.

Per quanto crudele sia la situazione Solženicyn ci racconta con sobrietà, senza tinte fosche, i piccoli, grandi eroismi degli uomini che il destino e un tiranno hanno messo insieme.

In particolare, spicca tra le tante, la breve descrizione del generale senza nome, che persi i denti e i capelli “per la bella vita”, sotto al desco stende un fazzoletto pulito: «Gli hanno tolto tutto, ma non la dignità». Quella, ci rammenta Solženicyn, non può togliertela nessuno.

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