di Carmine Treanni
“Che cos’è la fantascienza?”
Questa è la classica domanda da un milione di dollari: scrittori e critici, ma anche semplici appassionati, fin dalla sua nascita si sono adoperati nel dare una risposta definitiva, senza praticamente mai riuscirci. Delimitare, invece, i contorni di ciò che in inglese chiamiamo science fiction è forse la via più giusta da percorrere per fornire al lettore alcune coordinate sulla base delle quali potrà elaborare una propria idea. Lo facciamo utilizzando le definizioni di alcuni critici e scrittori che si sono cimentati in quest’ardua impresa.
Non possiamo non partire da colui che è considerato unanimemente l’inventore della fantascienza: Hugo Gernsback. Nato a Lussemburgo nel 1884, Gernsback lasciò la sua città natale per trasferirsi in America, dove lavorò prima come inventore e poi come editore. A lui si deve la prima rivista di fantascienza, ossia Amazing Stories, che apparve nelle edicole americane il 5 aprile del 1926. Nell’editoriale del primo numero, Gernsback specificò il tipo di narrativa che voleva pubblicare sulla sua nuova rivista: «Con “scientifiction” intendo il genere di storie scritto da Jules Verne, H.G. Wells ed Edgar Allan Poe: un affascinante romance intimamente mescolato a dati scientifici e visioni profetiche». [R. Valla, Hugo l’inventore in Delos Science Fiction n. 52, http://www.delos.fantascienza.com/delos52/storia.html.]
Il nome che utilizza all’inizio è scientifiction, nato dall’unione delle parole scientific e fiction, che in seguito diventerà science fiction e circoscrive la tipologia di racconti del nuovo genere letterario chiamando in causa tre scrittori molto popolari: Wells, Verne e Poe. Effettivamente i tre sono considerati i precursori del genere, seppur con storie e stili molto diversi fra loro: in realtà storie di fantascienza erano già state pubblicate, sia in Europa sia negli Stati Uniti, ma semplicemente non venivano chiamate con un nome specifico.
Quella dell’editore di Amazing Stories è una definizione che pone l’accento su tre aspetti che possono considerarsi a ben diritto nel dna della science fiction. Prima di tutto il romance, ossia la storia, la trama, che per Hugo Gernsback è fondamentale ed è alla base di ogni tipo di narrazione. Poi i dati scientifici, perché il nuovo filone della narrativa popolare è per eccellenza quello che racconta sia la scienza sia il progresso tecnologico che, all’inizio del Novecento, stavano dando grandi frutti in molti campi della vita dell’uomo. Infine, le visioni profetiche, aspetto al quale Gernsback teneva molto, anche perché lui era un inventore e quindi il nuovo filone della narrativa doveva immaginare il più possibile il futuro dell’uomo, soprattutto dal punto di vista delle nuove tecnologie. In realtà, oggi, molti studiosi concordano che la fantascienza non è una narrativa che “predice” il futuro, ma riflette sul presente con l’immaginazione del futuro.
Un grande scrittore come Isaac Asimov, il cui nome è per molti sinonimo di fantascienza, non aveva un’idea molto dissimile da Gernsback, anche se la sua definizione introduce un tema fondamentale: «La fantascienza è quel ramo della letteratura che si occupa dell’impatto del progresso scientifico sugli esseri umani». Per lo scrittore americano è importante raccontare di come la scienza ha reso migliore, o in certi casi peggiore, la vita dell’uomo, ed è questo tema al centro della nuova narrativa. Una prospettiva simile, ma anche molto diversa da quella di Gernsback. Per Asimov è l’uomo al centro della fantascienza e non solo il progresso scientifico.
Un altro autore che come Asimov appartiene alla cosiddetta “Età dell’Oro della Fantascienza”, il periodo storico che va dal 1938 al 1950, è Theodore Sturgeon che, a differenza del suo connazionale, non è uno scienziato. Sturgeon ha scritto che: «Una “buona” storia di fantascienza è una storia costruita attorno a degli esseri umani, con un problema umano e una soluzione umana, che non si sarebbe potuta verificare senza il suo contenuto scientifico». [J. Gunn, Storia illustrata della fantascienza, Milano, Armenia Editore, 1979]
L’autore di un capolavoro come Nascita del superuomo (1953) ha definitivamente posto l’uomo al centro della science fiction, laddove sottolinea la predominanza dell’aspetto umano sulla scienza. È l’essere umano, con i suoi difetti e le sue grandi capacità, il protagonista della narrativa che prospererà per tutto il Novecento, giungendo fino ai giorni nostri.
Sam Moskowitz, storico e critico americano, ha puntualizzato nella sua definizione del genere letterario altri aspetti importanti: «La fantascienza è un ramo della letteratura fantastica identificabile per il fatto che facilità la “volontaria sospensione della incredulità” da parte del lettore, utilizzando un’atmosfera di plausibilità scientifica per le sue speculazioni immaginarie nel campo delle scienze naturali, nello spazio, nel tempo, nel campo delle scienze sociali e della filosofia». [S. Moskowitz, Explorers of the infinite, New York, World Publishing Company, 1963 (trad. it. Esploratori dell’infinito, Milano, Editrice Nord, 1980)]
Prima di tutto, pertanto, ha inquadrato la science fiction come pertinente al macro-genere della narrativa fantastica, a cui appartengono anche generi come la fiaba e il fantasy. Ne prendiamo atto, anche perché sui legami tra i vari generi sono stati scritti numerosi saggi e l’ampio dibattito sull’argomento non è possibile sintetizzare in poche righe. Ha poi sottolineato la partecipazione del lettore alla fruizione dell’opera, con il meccanismo della “volontaria sospensione della incredulità”. Di cosa si tratta? Semplice, si mettono da parte – solo momentaneamente – le proprie facoltà critiche e si accettano tutte le situazioni fuori dalla realtà presenti in un romanzo (ma anche nel film, nel fumetto o in un episodio di una serie tv). Un meccanismo antico, che proviene dal teatro, ma che funziona ancora oggi.
Prendiamo un classico cliché della fantascienza: un uomo inventa una macchina del tempo con la quale effettivamente può viaggiare nel passato e nel futuro. Il lettore del romanzo non si pone domande del tipo: “ma è assurdo, oggi come oggi non esiste una tecnologia per realizzare un tale macchinario”; oppure: “il viaggio nel tempo è impossibile secondo le teorie della fisica”. E così via. Semplicemente, accetta quello che accade nel romanzo e ne gode come lettore. Punto e basta.
Infine, Moskowitz allarga il campo della fantascienza, inserendo come possibili tematiche non solo quelle scaturite dalle scienze fisiche e naturali, ma anche quelle provenienti dalle scienze sociali e dalla filosofia. Per fare un esempio, un romanzo che narra di una smisurata sovrappopolazione e di come si vive sul nostro pianeta in tali condizioni non è più scienza in senso stretto, ma siamo nel campo della sociologia e della psicologia.
Non bisogna dimenticare, tuttavia, l’aspetto ludico della fantascienza. Quando leggiamo un romanzo o un fumetto, o quando guardiamo un film o una serie tv, lo facciamo perché ci piace, ci divertiamo, perché interrompiamo la routine quotidiana. In soccorso, su questa caratteristica, ci viene incontro un altro grande scrittore, Ray Bradbury: «Parlando di fantascienza, uso spesso la metafora di Perseo e della testa di Medusa. Invece di guardare in faccia la verità, ci si volta e si vede il suo riflesso sulla superficie bronzea di uno scudo. Poi si afferra la spada e si taglia la testa di Medusa. La fantascienza finge di scrutare nel futuro, ma in realtà guarda un riflesso di quel che è già di fronte a noi. Si ha, perciò, una visione di rimbalzo, che ci fa divertire, invece di renderci troppo consapevoli e intellettuali». [R. Bradbury, Siamo noi i marziani. Interviste (1948-2010), a cura di G. de Turris e T. Di Bernardo, Milano, Bietti, 2015]
L’autore di Cronache marziane (1950) ci restituisce una caratteristica importante: la fantascienza è (deve essere) anche divertimento, non solo riflessione su questo o quell’aspetto della condizione umana. E altra cosa essenziale: si guarda al futuro per raccontare il nostro presente. Non c’è la visione profetica di Gernsback, ma un modo diverso di osservare e riflettere sull’attuale, utilizzando l’immaginazione proiettata nel futuro.
Cominciamo così a definire alcune fondamentali, ma non certo uniche, coordinate per capire che cos’è la science fiction.
La scienza: la conoscenza proveniente da discipline come la matematica, la fisica, la chimica e la biologia, ma anche quella che scaturisce dalla sociologia, dalla psicologia e dalla filosofia.
La tecnologia: intesa come progresso scientifico, con scoperte e innovazioni che permettono il miglioramento o un imbarbarimento della vita di tutti noi.
L’uomo: è il vero protagonista delle storie di fantascienza, anche quando ci s’imbatte in avventure su altri pianeti o con alieni e robot, tanto per citare alcuni dei cliché a cui la science fiction viene di frequente associata.
Il futuro: le opere di fantascienza sono spesso ambientate in un tempo che va oltre il nostro, ma non per “predire”, ma come espediente per riflettere sul passato e sul presente della condizione umana.
La speculazione: la fantascienza è stata spesso definita anche come una narrativa di idee, capace di riflettere sulla realtà e sul futuro, su ipotesi non ancora dimostrate. Quindi un cortocircuito che crea un’idea forte, sulla quale lo scrittore fonda la storia che intende scrivere.
L’immaginario: come per altri filoni della narrativa fantastica, la fantascienza ha creato un proprio immaginario a cui il lettore può far riferimento proprio per individuare una storia di questo genere dell’intrattenimento popolare.
Qui viene in soccorso, argutamente, lo scrittore Valerio Evangelisti che ci offre un punto di vista diverso sulla fantascienza, legata al rapporto tra sogno, fantascienza e realtà:
Narrativa che si occupa di futuro? Be’, non sempre. Descrizione di ipotetiche società a venire? Anche, ma non basta. Riflesso letterario dello sviluppo scientifico? Autori come Dick o Sturgeon non sapevano nulla di scienza, e nulla volevano saperne. No, è davvero difficile. La fantascienza può comprendere l’utopia, l’avventura fine a sé stessa, i presenti alternativi, lo spaesamento a fronte dell’ignoto o dei ritmi evolutivi, e tante altre cose ancora. Troppo vasta per essere definita. Eppure, la sua nozione è intuita da tutti, in forme più o meno deformate. Ecco un mistero di difficile soluzione. Altri generi narrativi non pongono simili problematiche. Anzi, non ne pongono nessuna.
Un abbozzo di risposta può venire da un dato curioso e noto a pochi. Pare che non accada mai, o quasi mai, agli scienziati di sognare l’oggetto delle proprie ricerche quotidiane. Non vi sono sogni di fisica, di biologia, di matematica, di chimica. Lo stesso accade, a maggior ragione, al cittadino comune. Nessuno sogna il Dna, le particelle subatomiche, il sistema vascolare.
Invece i sogni di «fantascienza» sono oggi frequentissimi e coprono tutte le tematiche trattate a livello letterario o cinematografico. Si sognano astronavi e galassie a spirale, robot ed extraterrestri. A ben vedere, si tratta dello stesso oggetto dei mancati sogni scientifici, anche se trasfigurato. La fantascienza è quindi il medium attraverso il quale scienza e tecnologia entrano nei sogni. È dunque essa stessa materia onirica, che dal reale riceve l’input, ma che poi lo rielabora fino a renderlo assimilabile da parte dell’inconscio.
Ecco perché la fantascienza è così difficile da definire. Ed ecco perché, malgrado questa difficoltà, è così facilmente riconoscibile. [V. Evangelisti, Alla periferia di Alphaville. Interventi sulla paraletteratura, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2000].
Se queste riflessioni sulla fantascienza non sono state d’aiuto per delimitarne il concetto, allora è il caso di chiudere qui il discorso, rifugiandosi in due definizioni di due maestri della narrativa. Il primo è lo scrittore americano Damon Knight che sulla questione “cos’è la fantascienza” ha dato il suo lapidario giudizio: «Fantascienza è ciò che intendo quando indico qualcosa e la chiamo fantascienza».
Di contro, il suo collega Norman Spinrad, anch’egli statunitense di nascita, ha fornito una definizione che per un verso potrebbe essere quella definitiva: «Fantascienza è tutto ciò che viene pubblicato sotto il nome di fantascienza».
Il testo è tratto da Carmine Treanni, Il futuro è adesso. Il grande libro della fantascienza, Homo Scrivens 2018.
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