A cura di: Al Gallo
L’opera: Come suggerito dal titolo, il romanzo di Dante Troisi è un diario. Anomalo, in quanto diario di un giudice. Ma chi è il giudice? Un uomo che rappresenta le istituzioni? Che incarna agli occhi del mondo un modello? O piuttosto un burocrate che leggendo in una specie di messale – il Codice – cerca di tracciare una linea tra ciò che è giusto e ciò che non lo è? In un’Italia post bellica, il togato lavora in un paesino campano. Sotto i suoi occhi mille e diversi drammi, toccanti: infanticidi, omicidi commessi per appropriarsi dell’uomo o della donna, di un altro. Fratelli e sorelle che combattono per eredità risicate, eppure necessarie. La desolazione impera nei palazzi resi pericolanti dai bombardamenti; nelle esistenze in bilico pronte a crollare come macerie morali di un’umanità che cerca il riscatto, provando a lasciarsi alle spalle dolori e responsabilità, ma che la vita inchioda al proprio destino.
Il personaggio: Il protagonista della vicenda è un reduce che ha combattuto la guerra in divisa e ora combatte ancora, ma con indosso la toga; è un uomo scisso tra passioni e slanci. Se da un lato sente appieno l’onere del suo incarico, dall’altro cerca umanamente di svolgerlo nel modo ritenuto migliore. Ironia e critica non mancano al protagonista che addita il sistema, non dimenticando però di analizzare, in primis, sé stesso.
Perché leggerlo: Perché sotto l’uniforme il protagonista è un uomo come tanti, con limiti, pregi e le sue piccole, assurde, idiosincrasie. Un uomo che si perde in sovrastrutture: l’esercito, la comunità, il Tribunale. Enti superiori dove la vita perde di significato e si trasforma in cifre ottuse e senza umanità.
“Un prete si sceglie un altro prete per confessarsi i peccati... Ma uno di noi (giudici) non ha nessuno. Non possediamo il potere di assolverci vicendevolmente”.
È racchiuso in questa frase il dilemma di sempre: “Sarò all’altezza di giudicare gli altri?”.
Un libro straordinario, scritto con uno stile veloce, incisivo, dove le parole, che spesso citano direttamente le fonti, ci restituiscono un mondo lontano nelle forme, ma purtroppo fin troppo vicino nei tragici contenuti.
Revisione di Martina Megna
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