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Homo Scrivens

Anteprima Poetica - Gian Marco Ferone


Gian Marco Ferone - Nato a Napoli nel 1993, scrive narrativa e poesia, studia la storia del resto delle arti e prova a coltivarle, se ci riesce. Per vivere fa il docente di materie umanistiche nei licei.


Alla Luna


Che hai da occhieggiare, Pallidovolto?

Perché a me fra tutti dai quei tuoi sguardi?

Ma che cosa vuoi da me, Occhiodimorto?

Non leggi l’ore? Non lo sai ch’è tardi?


Senti, Biancociglio, risparmia il fiato.

Non son io il figlio, non sono l’amato.

Rispondi, dannata! Perché mi guardi?!

Leggi bene l’ore, guarda ch’è tardi!


Che ti faccia buon pro quel tuo fissare.

Unghiadiddio, io so che tu taci

un dolore nel volto esterrefatto.


Moltitudini annegasti nel mare

che sollevi nella notte coi baci

mandati dalla tua bocca di gatto.


Vorresti confidarmi quel segreto.

Ma lasciatelo dire, brutta Luna:

in te non ripongo fiducia alcuna.

Di confidarti ti faccio divieto.


Dunque, porto alla bocca ora l’indice.

Chiedi altrove, o roccia orripilante

e oscura il tuo vecchio volto all’istante.

Uccideresti anche me, se complice


Fiaba appenninica


Talvolta in me scende

un piovoso ricordo,

si libra dalla legna

invasa da vita animale,

da profumi verdi come spiriti,

tratti dalla costa da inquieti venti.

Sotto il velo di pioggia, il cuore

sogna antichi versi di casa:

«Durante un’estate non già lontana,

presso un’antica contrada montana,

in una capanna remota in un bosco…»


Iperboreale


Benché sian molte le persone avvolte

da chiare luci mistiche e aurorali,

per queste strade te conobbi, donna,

e senza riconoscerti ti persi,

mentre giungeva il vento che spazzava

via le nuvole dal nostro paese.


Da quel giorno ogni linea verticale

ricorda la traccia delle lacrime.

«Possibile che tu non debba amarla?»

ripete la riga suprema

dietro cui si nasconde il sole

dall’umiliante superba bellezza.


Per la via

Guarda: sono nate ai lati della strada

mille belle di notte.

Il settembre fa promesse di quiete

dopo la strage porpora d’estate,

ma ancora ci aggiriamo

e ci vien meno il cuore

per questa via torrida e solitaria.

Se c’è pace, è soltanto nel tuo nome,

ch’è il nome dell’Ave.


I fiori secchi


Ho da qualche tempo uno strano rapporto

coi fiori secchi. Banalmente, le rose

sono le mie preferite. Voluttuose

rose dal fondo nascosto, ho scoperto

che hanno nomi di donne, hanno nomi

di balli e pietre preziose, dai bei suoni.


Baccara, Peccato di Gioia, Rugosa:

un’amante libertina, laida e oscena.

Angela, Valzer di neve, Damascena:

una vergine impossibile e noiosa.

Ho fatto con i loro petali e foglie,

un pot-pourriche ricorda certe doglie.


Una mia vecchia amica, di quando in quando,

viene a tenermi compagnia in quella

che par sia la malinconia più bella.

Facciamo insieme i suffumigi,calando

dentro l’acqua bollente steli e boccioli,

respirando quegli effluvi campagnoli.


Dopo il rimedio sediamo nel sole flavo.

Nel salotto pien di rose – una bianca,

in un vaso nero, turgida e contorta,

le altre rosse -l’amica mi bacia stanca.

Decadente, quasi jugendstil,mi porta

a rose che a diciotto anni disegnavo.


Mai annoiato, guardavo il foglio bianco

e sognavo fino all’ora di italiano.

Mi struggevo, fingevo il suono di un piano.

Scrivevo nomi di amate come affranto,

e disegnavo rose. Più adatto, accanto

stavi seduto tu, compagno di banco.


Chissà se ricordi. Disegnavo rose

mentre tu scrivevi in languide pose

a certe tue donne dall’essenza rara.

Nei ricordi fiori secchi,tanto allora

freschi e profumati, dai colori spenti,

dalle delicate corolle cadenti.


Tu ricordi quando usciti nell’immenso

mondo minuscolo fuori dalla scuola,

prendevamo treni in direzioni inverse,

ancora senza il concetto delle ore perse

a fare tra una noia e l’altra la spola.

Di quel momento vedo ora un altro senso.


Intanto, vecchia amica, mi baci stanca.

Negli occhi hai qualcosa della rosa bianca.

Essiccata e assente, dalla pelle d’oca,

tremi come per un brivido perenne.

E fissi il vuoto, ti accarezzi solenne

il basso ventre. Dici con voce roca:


- Devo proprio andare adesso, ho un impegno.

Ti guardo rivestirti, mi stringi nel pugno

la mano - Mi raccomando i suffumigi!

L’aria è piena di profumo di Parigi.

Ti accompagno alla porta. Ho mal di testa.

- Guida piano! - Tranquillo, a presto! - A presto!




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